Crisi ortofrutta, no aumenti al consumatore, ma solo filiere trasparenti
ROVIGO – Se gli agricoltori “sono alla frutta”, tanto vale offrire le nettarine in piazza: un gesto simbolico dei produttori di Coldiretti per affermare forte e chiaro che la crisi del prezzi alla produzione non si risolve con l’aumento dei prezzi al consumatore, ma con strumenti politici che incentivino filiere tutte agricole e italiane, che permettano la giusta remunerazione a tutti i soggetti coinvolti e dove il ricarico sul prezzo finale sia reso trasparente, per impedire le speculazioni.
E’ la motivazione della grande manifestazione che i produttori di pesche di Coldiretti Rovigo hanno organizzato per martedì prossimo mattina, 2 agosto, in piazza Vittorio Emanuele a Rovigo, a seguito del tonfo dei prezzi alla produzione dell’ortofrutta polesana (nettarine e pesche, cocomeri, meloni, lattughe e verdure estive), ceduta a prezzi inferiori ai costi alla produzione, mentre i consumatori continuano a pagarli molto salati al momento della spesa.
Da un grande gazebo giallo Coldiretti, i produttori di pesche cederanno, a offerta libera ai cittadini, dei cestini di splendide nettarine di prima scelta (categoria A), maturate al sole delle campagne dell’alto Polesine. Frutta che ha un costo di produzione di 50 centesimi al chilo e che viene attualmente pagata all’agricoltore 25 centesimi, mentre le famiglie le comprano ad euro 1,50-2,00 al chilo. Presso il gazebo Coldiretti, verso le 10 e trenta è previsto un incontro ufficiale con le istituzioni locali.
«I prezzi alla produzione della nostra frutta sono affondati in seguito ad una congiuntura di fattori negativi – spiega Floriano Sinico, presidente di Cofruta di Giacciano con Baruchella, la maggiore cooperativa ortofrutticola polesana – Un lieve incremento della produzione ma, soprattutto, un andamento stagionale di basse temperature nel Nord Europa, dove la nostra coop esporta il 70-80 per cento del prodotto nostrano, che ha fatto contrarre i consumi. In Germania richiedono le pezzature medio-piccole, che quest’anno sono in prevalenza, mentre il mercato italiano chiede pezzature più grandi. La contrazione della domanda tedesca fa riversare tutto sul mercato interno. Quando il fresco non tira, l’agroindustria ne approfitta – continua Sinico – e paga il prodotto per succhi e concentrati a 3-4 centesimi al chilo. Una certa influenza l’ha avuta la psicosi da “batterio killer”, seppure la salubrità e sicurezza della nostra frutta “made in Italy” sia indiscutibile».
Alla Cofruta, che raccoglie le produzioni di pesche, cocomeri e meloni dell'Alto Polesine, del Basso Veronese e dell'Oltrepo Mantovano si traccia un quadro della situazione: «Le produzioni sono state buone un po’ in tutta Europa – spiega Massimo Milani, direttore commerciale della cooperativa – Ciò significa una presenza importante di prodotto sul mercato e anche Spagna e Grecia competono con noi. A questo si aggiunga la contrazione dei consumi delle famiglie: l’ortofrutta è l’ultimo prodotto che si mette sul carrello della spesa e al quale si rinuncia più facilmente».
Coldiretti ha calcolato che gli acquisti di frutta e verdura sia diminuito di 100 chili/anno per famiglia negli ultimi tre anni (-22 per cento) a causa degli aumenti di prezzo al consumo, mentre le remunerazioni degli agricoltori sono crollate, tanto che si stima che negli ultimi 15 anni siano stati abbattuti la metà dei frutteti italiani. A causa delle distorsioni, delle inefficienze e delle eccessive intermediazioni nel passaggio della frutta dall’azienda agricola al carrello della spesa i prezzi aumentano di 5-6 volte senza giustificazioni.
«Produrre pesche e meloni costa circa 30 centesimi al chilo – continua Milani – mentre i realizzi ipotizzati sono di 20-25 centesimi ed il consumatore li compra a 1,50 euro: di questo divario le famiglie non si accorgono, i ricarichi non sono trasparenti e questo apre le porte alle speculazioni. Lungo la filiera ci sarebbe spazio perché tutti guadagnino il giusto ed i consumatori possano acquistare a prezzi più favorevoli maggiori quantità».